Nelle attività sportive occidentali la pratica dello stretching è limitata (quando non è del tutto assente) all'esecuzione di pochi esercizi, per un tempo limitato al preriscaldamento ed al defaticamento e con una conoscenza assai approssimativa della più idonea metodologia applicativa (a volte riscontrabile – ahimè – anche tra gli operatori del settore).
In realtà, questa imbarazzante situazione, è una limitazione concettuale e operativa più che altro occidentale, perché in oriente molte culture che hanno prodotto filosofie e concezioni del corpo e della salute diverse dalla nostra, hanno sempre attribuito una grandissima importanza a questo parametro della performance fisica, costruendoci dei veri e propri modelli comportamentali: vedi lo yoga in India o le arti marziali tradizionali in Cina.
Purtroppo, il fenomeno dell'inesperienza (sopra citato), è sorprendentemente riscontrabile anche nel mondo delle arti marziali praticate nel nostro continente. La triste realtà ci consegna un bagaglio marziale tecnico – metodologico spogliato o impoverito di questo importantissimo capitolo e che abbiamo relegato a pratica noiosa, inutile e con il rischio di incorrere nell'effetto indesiderato di perdere forza (perché questo ci è sempre stato detto sullo stretching…..non è vero? – vedi l'articolo precedente), semplicemente perché la nostra distorta concezione di forza e velocità é legata all'ipertrofia muscolare e alla nostra patologica necessità di associare la presenza di una copiosa massa muscolare ad una condizione di salute e prestanza fisica. Ma i principi orientali che sottendono all'esecuzione dei gesti marziali dicono l'esatto opposto: il concetto di Forza è legato ad un principio di corretto allineamento articolare (che, in alcuni casi, consente un "appoggio articolare" del tutto privo di dispendi energetici, in altri, migliora l'efficacia della contrazione muscolare minimizzandone la fatica) ed un corretto utilizzo del core (per i meno avvezzi il "core" è un termine usato per indicare tutto il sistema muscolare compreso tra addome e cingolo pelvico) per svincolare le forze dirette alla figura nelle varie direzioni (dipendente dalla tipologia di applicazione); il concetto di Velocità – "esecutiva" – è, invece, legato allo sfruttamento delle catene miofasciali (e soprattutto funzionali) che hanno una disposizione spaziale spiroide che consente ai sistemi biologici di spostarsi nello spazio (vedi cammino, corsa, balzi) sfruttando la restituzione elastica tipica di una spira che viene compressa e successivamente rilasciata, diminuendo così, fatica e attriti e di esprimere forza e velocità con il massimo del risultato ed il minimo dispendio energetico.
Alla base di queste due Capacità Condizionali il pensiero orientale pone l'accento sul Rilassamento Muscolare ottenibile tramite tecniche meditative in movimento e non (vedi il Tai chi chuan ed il Chi Kung) e tecniche di allungamento muscolare (vedi lo Yoga in India e Tong Zi Gong in Cina – mi si perdoni la volgare e riduttiva definizione di queste due pratiche che, ovviamente, offrono molto di più che un semplice allungamento muscolare).
Ma se vi dicessi che con lo stretching non allungate i muscoli?...........
Immagino già le vostre facce: occhi strabuzzati, viso contrariato ed attonito con la tipica frase che passa a tutti per la testa in questi momenti: "…zzo dice questo qui!?!?"
Beh, per convincervene dovreste conoscere un po' di anatomia muscolare fine. Se non siete aggiornati, non preoccupatevi, non siete tenuti a farlo (o forse sì?…sì, siete tenuti a farlo, soprattutto se vi definite "Maestri" o "Istruttori" o qualsiasi altro titolo abbiate dovrebbe essere insito il dovere morale di migliorare le vostre conoscenze, perché lavorate sul "materiale umano", un materiale preziosissimo – non dimenticatelo – spesso di giovane età, quindi non è ammessa approssimazione e non sono ammessi errori, specialmente quelli dovuti all'illusione della conoscenza e della certezza)*.
Allora ecco qualche rapida e breve informazione sull'anatomia muscolare fine: tutta la componente contrattile del muscolo è avvolta da un tessuto connettivo che, dall'interno all'esterno, si modifica da lasso a denso fibroso (vedi figura in alto). Questo connettivo viene detto endomisio (quando avvolge una singola fibrocellula muscolare), perimisio (quando avvolge un fascio di fibrocellule muscolari) ed epimisio (quando avvolge l'intero corpo muscolare). Queste tre strutture di avvolgimento presentano una continuità anatomica che permette un collegamento stretto tra l'endomisio, il perimisio e l'epimisio grazie ai setti inviati tra le cellule muscolari fino alla superficie. Questa continuità non si arresta in superficie ma prosegue col paratenonio del tendine ed il periostio dell'osso nel punto di inserzione del tendine. Il sarcomero (vedi di fianco), che è l'unità funzionale del muscolo, presenta al suo interno delle proteine elastiche che hanno il compito di mantenere adeguati i rapporti tra le proteine contrattili e permettere la contrazione. Queste proteine non sono modificabili, mentre le fibre collagene delle strutture fasciali possono modificarsi a seconda dello stimolo meccanico al quale vengono sottoposte. Per questo motivo dico che lo stretching lavora sulla componente connettivale dove, grazie alla sollecitazione in allungamento, è possibile una modificazione delle fibre collagene secondo le linee di tensione che imprimiamo con lo stiramento. Risulta chiaro che se lo stimolo in allungamento viene consegnato solo in una direzione sarò elastico solo in quella direzione ma rigido in tutte le altre. Questo è il substrato anatomico dell'indicazione pratica di eseguire esercizi per il coinvolgimento di tutti i fasci muscolari di un'articolazione.
Mi auguro di essere riuscito a rendere più comprensibile il motivo per cui lo stretching debba essere considerato una vera e propria attività, che non può essere risolta in pochi minuti e che presuppone una conoscenza approfondita dei meccanismi neuro – anatomo – fisiologici del muscolo.
* Vi prego di prendere le righe tra parentesi come un invito a migliorare il proprio bagaglio conoscitivo e non come un commento sarcastico. Ho sempre la romantica convinzione che a volte i modi narrativi diretti possano scuotere le menti più sensibili a riflettere, in questo caso, sul fatto che l'insegnamento, in qualsiasi forma esso si presenti, è una cosa seria e chiunque lo voglia approcciare debba conoscere tutto della materia che insegna, dagli aspetti tecnico – metodologici a quelli clinico – scientifici per finire a quelli psico –pedagogici. Questo non vuol essere un invito ad insegnare solo se siete laureati negli ambiti sportivi, riabilitativi o medici perché non vi si chiede di svolgere un'accurata analisi biomeccanica del movimento o proporre percorsi terapeutici, ma certamente avere una solida consapevolezza dell'argomento che andate a trattare in modo tale da evitare grossolani errori di metodo.